Dal 1999 ogni anno il 25 novembre si celebra la Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una data scelta dall’Onu non a caso. Proprio un 25 novembre, quello del 1960, nella Repubblica Dominicana si consumò il martirio di tre giovani donne, le sorelle Mirabal: Patria, Minerva e Maria Teresa, soprannominate “las mariposas” (le farfalle).
Sembra incredibile, ma la violenza sulle donne, fenomeno antico e fino a pochi decenni fa ritenuta “normale” nel nostro paese – le disposizioni sul “delitto d’onore” sono state abrogate solo il 5 agosto 1981 – ancora riempie la cronaca dei nostri giorni, ancora ci parla di uomini, di “compagni di vita”, che decidono di punire la propria donna in nome di una “superiorità maschile” e di un “dispotismo domestico” , come li chiamava nel XIX secolo il filosofo inglese John Stuart Mill, che vuole vedere le donne come dotate di una natura irrazionale, “uterina“, e utili solo – o principalmente – alla procreazione e alla gestione della vita domestica.
Nella mentalità di tali uomini preistorici le donne devono accettare quello che essi decidono per loro e ‘per il loro bene’ e sottomettersi al volere del pater familias. Per secoli le donne sono state sprovviste di autonomia morale e sociale, costrette ad incarnare una serie di “virtù femminili” come l’obbedienza, il silenzio, la fedeltà; caste e pure dovevano preservarsi per il legittimo sposo, fino alla rinuncia definitiva del loro destino e di esse stesse. Una rinuncia che se non accettata in silenzio le avrebbe portate ad essere definite donne di “malaffare” o le avrebbe portate anche alla morte come punizione.
Le lotte femministe affondano le loro radici da lontano, dalle rivendicazioni delle suffragette dell’800 al femminismo americano degli anni ’60 con la richiesta di controllare la propria fertilità attraverso la pillola anticoncezionale, il diritto di abortire e di parlare apertamente di stupro e violenza domestica, alle rivendicazioni degli anni ’90 che ponevano al centro del dibattito sociale e politico temi come la violenza di genere, il diritto all’aborto, la condanna di un linguaggio denigratorio relativo alle donne, l’emancipazione sessuale, i diritti dei transgender e le discriminazioni razziali e di classe e il diritto al lavoro per le donne.
Uno slogan del 1968 recitava : “Non più puttane, non più madonne, ma solo donne!
Oggi nel nostro paese, ma solo dal 25 luglio 2019, esiste una legge denominata “Codice rosso” che stabilisce “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, una legge che definisce come reato una serie di comportamenti aggressivi nei confronti delle donne varando quattro nuovi reati come: la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate, la deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, la costrizione o induzione al matrimonio, la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
Nonostante vi siano stati progressi nei processi di rivalutazione dei diritti delle donne e del loro ruolo nella società, permangono ancora oggi fenomeni di femminicidio, eventi che spesso avvengono tra le mura domestiche e che si sono acuiti negli ultimi tempi a causa del lockdown e ancora troppo spesso, distorcendo la verità dei fatti, sono definiti “delitti passionali”, come se il movente di essi fosse l’amore.
Ma cosa resta dell’amore quando la vittima non è altro che un oggetto di possesso e di gelosia? Che ruolo ha la donna all’interno di un contesto familiare e di una relazione malata e ossessiva che la priva di libertà e autodecisione? Purtroppo quanto più la donna cerca di affermarsi in nome di pari diritti e di dignità della persona, tanto più vi sono ancora uomini che reagiscono in modo violento per paura di perdere anche solo briciole di quel potere arcaico che lo gratifica e lo rende, nello stesso tempo, meschino, volgare, aggressivo e violento.
Gli uomini violenti appartengono ad ogni categoria sociale, non sono solo pazzi o malati, sono persone anche con un buon livello di istruzione, sono infatti solo uomini che non accettano l’autonomia femminile e che, spesso per debolezza, vogliono controllare la donna e sottometterla al proprio volere. Sono spesso persone insicure con poca fiducia in se stessi, individui che invece di cercare di capire cosa non va nella loro vita, accusano le loro donne e le considerano responsabili dei loro fallimenti.
Molti di questi reati “passionali” non sono altro che il sintomo conclamato del declino di “quell’impero patriarcale” che certa cultura alimenta ancora e tale declino vede nella violenza il solo modo per sventare la minaccia della perdita di una supremazia ottusa e insignificante che svilisce non solo il rapporto umano, ma l’entità stessa della persona.
Se poi la donna abbandona un compagno che è diventato un nemico oppressivo e violento, questi spesso la cerca, la minaccia, la picchia e a volte l’uccide. Fare del male alla propria donna finisce con il diventare l’obiettivo fondamentale di questi uomini che di umano hanno veramente poco e che cercano ogni sotterfugio per far soffrire la propria compagna – e per ‘propria’ intendiamo colei che vive con lui, non una sua proprietà – .
E’ successo spesso purtroppo che la violenza verso la donna diventi trasversale e si uccidono i figli avuti insieme per il solo gusto di far soffrire l’altra. Tra gli altri ricordiamo un fatto di femminicidio durante il quale oltre la compagna e i figli, l’uxoricida abbia ucciso anche il cane di famiglia e dopo si è ucciso, incarnando con tali atti la simbologia estrema e grottesca di una mente marcia che non ha saputo guardare in se stesso e riconoscere i propri limiti e mancanze, attribuendo i propri insuccessi ad altri e cercando nel gesto eclatante la celebrazione di se stesso.
Il tempo, nonostante esistano ancora oggi archetipi umani di barbarie culturale, inesorabilmente e fortunatamente procede, oggi le donne non accettano più di essere considerate oggetti, rivendicano il diritto ad affermare se stesse e la propria individualità, anche per il bene della famiglia, per questo il 25 novembre dovrebbe diventare, a nostro avviso, solo una data di celebrazione del piacere del rispetto per l’altro, la commemorazione e la condanna di una cultura grottesca e assurda morta per sempre che ha generato un necessario nuovo clima culturale di comprensione e rivalutazione fra generi umani.