E’ da tanto tempo che non scrivo più di calcio. Per scelta, perché credo che oltre i “secondi anta” si debba dare spazio ai giovani, e poi perché io credo che tutti coloro – e siamo in tanti – che hanno accompagnato il Benevento Calcio nei momenti più difficili, una volta esaurito il compito, debbano farsi da parte… Il ricambio generazionale non può (o dovrebbe) che fare bene a tutto l’ambiente.
La partita di Verona ha rappresentato una tappa fondamentale della nostra storia calcistica. Per tutti noi, me compreso, ecco il motivo del mio venir meno all’intento. Quanti anni abbiamo aspettato prima di potercela giocare in uno stadio glorioso e contro una blasonata?
Divagazione: lo stadio Bentegodi, indubbiamente, avrà conosciuto momenti di gloria calcistica assoluta. Uno scudetto è uno scudetto. E chi non ha conosciuto ed apprezzato il tecnico Osvaldo Bagnoli, poche parole ma tanti fatti, o la forza esplosiva del centravanti Preben Elkjær Larsen? Passato glorioso, appunto. Ma passato remoto. Perché già all’andata, i sedicenti tirolesi del sud si fecero apprezzare per la loro ingombrante inciviltà, tra cori beceri ed ignoranti e offese pseudo-discriminatorie di vario genere. Ovviamente “in casa loro” hanno mostrato il meglio, ma tant’è: in fondo se sono stati esportati come braccia agricole o guardare le greggi in paesi sudamericani (ma bisogna sempre ricordarglielo?), nei secoli scorsi, un valido motivo ci sarà stato, o no?
Peccato che, come sempre, i solerti – faziosi? – telecronisti non ne abbiano fatto menzione. Distratti, forse, dalle mirabìlie tecniche dei gialloblu. Ma posso comprenderlo, come si fa a non anteporre il Verona, la squadra da battere nel campionato di B, alla neopromossa Benevento? Ma poi, cosa vuol dire giocare in un campionato da neopromossa? E’ una discriminante? E’ qualcosa che incide sui risultati del campo sminuendone il valore? Bah!
Sì, nel corso della telecronaca, ci sono stati vari – e ineluttabili – elogi ai nostri calciatori, la menzione alla famiglia Vigorito che non ha lesinato sacrifici economici pur di raggiungere gli obiettivi, la bravura del tecnico Baroni a far salire la linea difensiva su e giù (ma in che senso?)… Ma il filo conduttore è stato sempre il Verona che… il Verona che non… il Verona potrebbe… che dovrebbe… E meno male che non era una radiocronaca e la gara l’hanno vista tutti.
Grande prestazione di Lucioni e compagni: squadra solida, compatta, corta al punto giusto, con quella cattiveria calcistica – a volte mancante, nel recente passato – che l’ha resa un terribile incubo per le presuntuose ambizioni calcistiche altrui (vero Pecchia?). Io credo che nulla si possa imputare ai ragazzi in campo. Qualche errore sicuramente c’è stato, inutile girarci intorno. Ma io credo che non possa giocarsi una partita così intensa e difficile senza commetterne. Tenendo conto che la candidata alla vittoria giocava in casa e, appunto, noi affrontavamo la squadra più forte (anche se non se ne è accorto nessuno).
Molto bene la fase difensiva; in mezzo qualche sbavatura del roccioso Chibsah, che paga sempre per la sua indiscutibile generosità, c’è da sottolinearlo; ma il centrocampo ha girato, eccome! In avanti nulla da dire, ma mi piace rimarcare la prestazione di Ceravolo, ancora una volta a combattere contro tutti per creare spazi ai compagni di reparto. La squadra, oltre il cuore, ha gambe e fiato, e per almeno sessanta minuti ha dato filo da torcere ai fenomeni gialloblu. L’ennesima e straordinaria prova di forza del Benevento Calcio. Raggiunta quota 40 (41 sul campo), la media reale è di 1,71 punti/gara e l’obiettivo salvezza non è impossibile, con buona pace dei nostri detrattori.
Dei nostri tifosi, cosa poter dire di nuovo? Ancora una volta “over the top“, oltre settecento, di venerdì sera e a centinaia di chilometri lontani da Benevento, con tutte le difficoltà logistiche immaginabili. A tratti si sentivano solo i tifosi giallorossi, nel glorioso Bentegodi. Lezioni di tifo, di civiltà, di intelligenza. Ancora una volta abbiamo guardato dall’alto verso il basso i blasonati tifosi avversari. Chiamasi “mentalità vincente“, qualcosa che va oltre il risultato del campo. Credo che i i sedicenti sudtirolesi li ricorderanno a lungo questi terroni, con la speranza che, stavolta, qualcosina abbiano imparato. Altrimenti non gli resta che tornare a fare i braccianti in Argentina.