Di tempo ne è passato. Sembra un’eternità, l’ultima volta che ho messo piede al Ciro Vigorito è lontana anni luce. Poco più di un mese, secondo il calendario. Differenze dovute alla relatività, è come chiedere di descrivere quanto è lungo un minuto a chi sta trapanandosi un dente o a chi, invece sta baciando la propria amata (beato lui). La risposta sarà certamente differente: sarà un’eternità o un attimo, per lo stesso minuto, dipende se si è stesi sulla poltrona odontoiatrica o abbracciati cuore a cuore con il proprio amore
Sono venuto qui, perché mi ha incuriosito la notizia del lavori di riparazione della scritta luminosa, quella agganciata esternamente sulla balaustra superiore della tribuna centrale. I vandali l’avevano danneggiata. Individui che con il calcio e con i tifosi veri non hanno nulla da spartire. Per scelta di pomeriggio, alla controra. Nessuno in giro, una quiete quasi irreale visto il luogo, tanto silenzio. La scritta è di nuovo al suo posto, intatta, la mia curiosità è soddisfatta. Ma non vado via, mi piace restare a guardare. Sul bordo del parapetto in cemento, lì in alto, colombi e gazze a condividere tanti spazi e altrettanta quiete. Guardo lo stadio e non posso non “tornare indietro” con i pensieri. Ricordi di tifosi, urla, amarezza, rabbia, cori, disillusione. La consapevolezza di avere tra le mani un giocattolo rotto in tanti, troppi pezzi. Un ricordo, ora che ci penso, divenuto assai spiacevole.
Il calcio a Benevento è finito? Chissà! Di certo non può morire la passione. Solo per la maglia, quante volte l’ho letta questa frase e quante ancora l’ho ascoltata? Bel proponimento, io sono d’accordo. Se è solo per la maglia, però, non comprendo i motivi di una contrapposizione così forte, tra una parte dei tifosi e la società. E la maglia dov’è finita allora? Sinceramente, ad oggi non m’interessa più. Non sono rassegnato, non ne ho più il tempo e forse neppure voglia di perdermi in negatività. In questo stadio ho passato centinaia, anzi, migliaia di ore, con amici, tanti dei quali non ci sono più.
Voglio immaginarlo al contrario di come lo vedo oggi questo stadio. Mi piace pensare ai tifosi, le bandiere, le sciarpe annodate in vita. Visi e storie che s’incontrano ogni qual volta la Strega scende in campo. Da qui, io sono seduto sul parapetto metallico, si sente odore d’erba bagnata. Il campo è stato irrigato, probabilmente rasato alla perfezione. Sarà ben areato il prato, compatto, un tavolo da biliardo, perché è da tanto che non viene calpestato. E sarebbe un peccato lasciarlo per troppo tempo così. Non avrebbe senso immaginarlo ancora vuoto, chiuso e silenzioso com’è adesso.
Mi piace stare seduto qui e guardare, sembra che il pensiero di ciò che sarà trovi maggiore appiglio, sia più concreto. Avremo ancora altre domeniche da vivere insieme? Potremo ricreare quell’ambiente magico che ci ha fatto esaltare per tutto l’inverno scorso? Ragionandoci, credo proprio di no. Troppo profonda la spaccatura, la distanza tra le parti sembra abissale. Ma il calcio, anche quello solo per la maglia , anche se giocato in terza categoria, ha bisogno che tutte le componenti, i tasselli del puzzle con la Strega, tornino a combaciare saldamente. Società, squadra, tecnico, tifosi e stampa. Il collante deve metterlo ognuno di noi tirando fuori solo la passione e mettendo da parte i personalismi e certi inutili rancori. E’ la passione, quella vera, che fa girare davvero il calcio. I soldi ci vogliono, anche tanti se vogliamo: ma senza passione è tutto inutile.
Sembra incredibile che questo gigante di cemento possa aver contenuto tanti cuori e tanta passione, negli anni. Talmente tanta che potrebbe ricoprire ogni cosa nel raggio di chilometri, se fosse palpabile. Altro che Pompei e la lava! Quante volte sono “ritornato” qui dopo qualche delusione calcistica. Non saprei spiegare il perché, ma è come venire a cercare qualcosa. Cosa? Un applauso, un urlo di gioia o rabbia, un sorriso fatto al vicino di posto, l’abbraccio impazzito stretto a chiunque ti capiti dopo un goal. O semplicemente me stesso… Ma non ho affatto perso tutto questo, ne sono certo. Di sicuro è tutto chiuso all’interno, dietro queste inferriate, oltre i tornelli, su per le gradinate. Al mio solito posto e ognuno può ritrovarle laddove si siede, ogni domenica di campionato.
E’ passato molto più di un minuto da quando sono arrivato. Il vento s’è alzato e fa mulinare nella polvere cartacce, buste di plastica e qualsiasi cosa ci sia sull’asfalto caldo. Lo stadio è lì, a pochi metri da me. Ho come la percezione che “qualcuno o qualcosa” (sarà l’anima stessa dello stadio?) non aspetti altro che si riaprano i cancelli e i tifosi tornino ad affollare gli spalti. Ognuno di loro tornerà per ritrovare le proprie emozioni, quelle di sempre. Per rincontrare gli amici e tornare a tifare. Per vivere altre domeniche di meravigliosa follia, inseguendo un sogno e ritrovare – ecco la relatività del tempo – il bambino che è in ognuno di noi. Quello che non vuole smettere di sognare. Io non vedo l’ora, vado via, ma sono certo che potrò tornare e… non sarò da solo.