Nel ventre dell’aeroporto Son Sant Joan di Palma de Mallorca potreste perdervi. E’ una gigantesca, direi immensa scatola dalle linee ultramoderne in cui sono racchiuse contemporaneamente, ora dopo ora, migliaia di nazionalità ed etnie. Un viavai frenetico e al limite della follia, in un’atmosfera densa di aria salmastra e oli abbronzanti, essenza di pino – albero che davvero abbonda sull’isola – e… di umanità sudata.
Una vacanza pur se breve è l’occasione per “fermarsi”, lasciando libera la mente. Nonostante la spina staccata, la notizia del massacro di Nizza ha purtroppo colmato di angoscia e rabbia frustrata quelle ore di libertà. La scia di sangue lungo la Promenade des Anglais è un orrore che sarà difficile da cancellare. L’Isis (lo stato islamico o IS, al-Dawla al-Islāmiyya) ha vinto un’altra battaglia, con la sua strategia di vigliacche azioni lampo che sono molto più devastanti di quanto, forse, nel stesso intento degli esecutori. Una studiata strategia del terrore, che vorrebbe rinchiudere il mondo occidentale degli “infedeli” a tremare pregando nel buio delle proprie case.
Chi pianifica tutto questo non è affatto stupido. E’ una sottile e ben studiata guerra di nervi, il nemico c’è, è conclamato, ma non sappiamo dov’è, e neppure quando e come potrà colpirci ancora. Ovviamente sempre “alle spalle”, senza badare troppo a chi saranno le prossime vittime. bambini o donne e vecchi, poco importa, conta solo il clamore, soprattutto mediatico. L’importante per loro è uccidere, per pura ed esclusiva inumanità, altro che guerra santa e guerriglieri: i soldati veri, pur nel loro discutibile ruolo, sono ben altra cosa.
Questi e tanti altri i miei pensieri, seduto in attesa del check-in: le file sono interminabili, qui non si può fare online. In attesa dell’apertura del banco 114 su cui lampeggia ipnoticamente un closed bianco su sfondo azzurro (come cielo e nuvole!) mi sono accomodato e osservo la moltitudine che mi circonda. Ogni banco attivo è una destinazione diversa: Portogallo, Germania, Inghilterra, Belgio e via così… Osservo le lunghe file di turisti in attesa, con le loro valigie. Io provo ad ascoltare le loro voci, a distinguerne la nazionalità affidandomi all’intuito e anche ai tratti somatici. E’ un modo per tenere la mente impegnata e vincere la noia e la stanchezza. Le file di eleganti (ma scomode) poltroncine metalliche sono stracolme di gente in attesa, come me. Tra una fila e l’altra solo un paio di metri. Tutti seduti, uno di fronte all’altro. Osservo ognuno, scorrendo lo sguardo lentamente intorno a me. Uomini, donne, terribili ragazzini già sopraffatti dalla stanchezza. Qualcuno non sembra affatto un turista. Viaggerà per lavoro, per salute, per raggiungere un amore lontano, chissà.
Uno volto attira d’improvviso la mia attenzione. Come una macchia scura in quel muro colorato e vivace. Strano non averlo notato prima. E’ un uomo dalla pelle olivastra, viso scarno, lineamenti mediorientali (così sembra…), capelli rasati, barba e baffi, curatissimi. T-shirt verde chiaro e un gilet nero, tipo quelli che si indossano per andare a pesca. Pantalone nero e scarpe nere, di cuoio, allacciate. Dal suo taschino a sinistra spunta un passaporto, al cui interno c’è un foglio bianco ripiegato, presumo sia la prenotazione del volo. Ai suoi piedi, tra le gambe, un trolley già avvolto dal cellophane.
Come un flash: avvampo e ho una scarica di adrenalina, così mi ritornano in mente, affollandosi, tutte le cruente e scioccanti immagini che ho visto nei giorni precedenti. E se costui fosse un terrorista pronto a compiere un attentato, lì, o fare esplodere qualche aereo? Ma no… cosa vado a pensare… E’ stato un attimo… Mi rendo conto, però, che non posso fare più a meno di guardarlo. Ma non voglio dare nell’occhio, faccio finta di leggere le brochure che ho preso nel cestello accanto a me. Lui è lì, a circa quattro metri da me. E’ visibilmente impaziente, direi agitato. Rigira nervosamente un telefonino tra le mani. Si aggiusta l’orologio, controlla le tasche, sembra quasi borbottare qualcosa, ripetutamente. Si volta indietro, una, due, tre volte, aggiusta ossessivamente il bagaglio tra le sue gambe, quasi come se volesse accertarsi della sua integrità… Io per un istante mi sento gelare, e non è l’aria condizionata. Per un lunghissimo e credo interminabile arco temporale, non ho avuto la forza di alzarmi, forse neppure di respirare. Con uno sforzo – che in quel momento mi è sembrato abnorme – mi sono alzato, con l’intenzione di raggiungere i miei familiari, seduti più in là… La vista annebbiata, le mani sudate, le gambe molli: sono completamente nel panico!
Non so quanto è durato, forse trenta secondi o un ora… Poi, il colpo di scena: “Cyril! Cyril!”, una donna accompagnata da una bimba che avanza tra la folla e chiama, presumibilmente un figlio, o compagno. Cyril… ma è lui Cyril, il mio “presunto terrorista“, che quando la donna si avvicina si alza e, parlando in francese, le rimprovera chissà cosa… Poi, insieme, si avvicinano al banco, il volo è per la Francia, si accodano ad altra gente a fare il check-in, continuando a discutere, ma senza neppure esagerare.
Riavutomi dallo sgomento, con un minimo di lucidità, mi sono reso conto di essere stato anch’io colpito dall’Isis. Già, perché il terrorismo psicologico può essere devastante e pericoloso (l’ho sperimentato!) quanto gli effetti di una deflagrazione. E se io avessi urlato dalla paura? Facendolo, avrei potuto scriteriatamente scatenare il panico tra i presenti, con gravi conseguenze. Ho provato un po’ di vergogna, con grande imbarazzo, avrei quasi voluto chiedere scusa a Cyril (spero che la grafia giusta del nome sia questa), che era soltanto un uomo allarmato per l’assenza prolungata dei suoi cari. O magari, semplicemente, per fatti suoi… E io l’ho immaginato come un jihadista da telegiornale, alla stregua di quel vigliacco che con un tir ha falciato in pochi istanti novanta vite, come in un mostruoso videogame.
Nulla sarà più come prima, questo è certo. Io credo che nessuno di noi, in coscienza, potrà più viaggiare o andare, per esempio, ad un concerto con la spensieratezza dovuta. In questo, bisogna ammetterlo, loro sono riusciti nell’intento. Ma bisogna reagire, e pur convivendo con l’umana paura, bisognerà trovare la forza di andare avanti. Senza cedere alla tentazione della vendetta. E’ difficile, ma la violenza e l’odio non possono e non devono combattersi con le stesse armi. La Civiltà e la cultura dell’accoglienza di noi “infedeli” sono l’unica via d’uscita. Anche se questo ci costerà, immagino, ancora sacrifici e lacrime. E nuove ansie, per lo più ingiustificate, come accaduto a me. Non possiamo dargliela vinta, anche in nome di chi è morto per mano di un miserabile vigliacco assassino travestito da guerrigliero.
È proprio così, Marcello. Ci capita come a te. Siamo in parte già vittime. Non possiamo arrenderci, ma quando finirà questo orrore?