Continua incessante l’afflusso di migranti in Europa, per la maggior parte gestito da organizzazioni di trafficanti senza scrupoli, provenienti dai paese del nord Africa o dai confini continentali ad oriente. Una situazione divenuta insostenibile e di difficile gestione, soprattutto per alcuni paese “meta” che non hanno più la capacità di ricevere ulteriori arrivi. Dopo i recenti tragici attentati di Parigi, il livello di sicurezza interno adottato da alcuni Stati membri dell’Unione è quello massimo perché è molto elevato il rischio che tra coloro che richiedono asilo politico e fuggono da situazioni di guerra e da condizioni umanitarie drammatiche, s’infiltrino tanti pericolosi terroristi dell’Isis pronti ad immolarsi per la loro sanguinosa e anacronistica guerra santa.
Attualmente sono già 6 i paesi dell’area Schengen che hanno attualmente riattivato i controlli alle frontiere interne: Danimarca, Francia, Germania, Austria, Norvegia e Svezia. La Francia lo aveva già fatto a seguito degli attacchi terroristici, gli altri cinque Stati per far fronte al flusso eccezionale di migranti.
Lo spazio Schengen, uno degli avanzamenti più concreti dell’Unione europea, è una zona di libera circolazione dove i controlli alle frontiere sono stati aboliti per tutti i viaggiatori, salvo circostanze eccezionali. Lo spazio Schengen è attualmente composto da 26 paesi, di cui 22 membri dell’Unione europea ( Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia) e quattro non membri (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera). Non ne fanno parte Bulgaria, Cipro, Croazia, e Romania, per cui il trattato non è ancora entrato in vigore, e Irlanda e Regno Unito, che non hanno aderito alla convenzione esercitando la cosiddetta clausola di esclusione (opt-out).
Con l’accordo di Schengen, firmato il 14 giugno 1985, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi hanno deciso di eliminare progressivamente i controlli alle frontiere interne e di introdurre la libertà di circolazione per tutti i cittadini dei paesi firmatari, di altri paesi dell’Unione europea (UE) e di alcuni paesi terzi. La convenzione di Schengen completa l’accordo e definisce le condizioni e le garanzie inerenti all’istituzione di uno spazio di libera circolazione. Firmata il 19 giugno 1990 dagli stessi cinque paesi, è entrata in vigore nel 1995. L’accordo e la convenzione, nonché gli accordi e le regole connessi, formano insieme “l’acquis di Schengen“, che è stato integrato nel quadro dell’Unione europea nel 1999 ed è diventato legislazione dell’UE.
I paesi candidati all’adesione dell’UE devono accettare integralmente l’acquis di Schengen al momento della loro adesione. Tuttavia, il controllo di frontiera alle frontiere interne è revocato soltanto (con decisione unanime del Consiglio), dopo che una valutazione da parte della Commissione e degli esperti del paese dell’UE ha verificato la corretta applicazione delle misure di accompagnamento per l’abolizione dei controlli alle frontiere interne. L’appartenenza a Schengen implica una cooperazione di polizia tra tutti i membri per combattere la criminalità organizzata o il terrorismo, attraverso una condivisione dei dati (per esempio con il sistema d’informazione condiviso Schengen, o Sis). Una delle conseguenze di questa cooperazione è il cosiddetto “inseguimento transfrontaliero”, ovvero il diritto della polizia di inseguire un sospetto in un altro stato Schengen in caso di flagranza di reato per infrazioni gravi.
Anche se le frontiere interne dovrebbero esistere soltanto sulla carta, i membri dello spazio Schengen hanno comunque la possibilità di ristabilire controlli eccezionali e temporanei. Questa decisione dev’essere giustificata da una “minaccia grave per l’ordine pubblico e la sicurezza interna” o da “gravi lacune relative al controllo delle frontiere esterne” che potrebbero mettere in pericolo “il funzionamento generale dello spazio Schengen”, come si legge nella documentazione della Commissione europea.
Inevitabile allora che, di fronte ad un flusso incessante e purtroppo incontrollabile di arrivi, ogni Stato cerchi di tutelare gli equilibri sociali interni e soprattutto di riprendere il controllo della sicurezza nazionale. Di fatto, le frontiere interne dell’Ue ad oggi sembrano molto più controllate di quelle esterne, evidentemente fragili e permeabili. Schengen traballa, e l’Unione europea è sempre più divisa e non soltanto dai controlli di frontiera.