Siamo bombardati 24 ore al giorno da messaggi commerciali, il Natale (appunto, commerciale) è dappertutto. Con sempre maggiore anticipo sui tempi, il “messaggio” che si vuole passi è quello della festa, del pandoro, dei super-mega-regali, di una forzata (o forzosa?) allegria, fatta di luci multicolori e sfavillanti – obbligatoriamente made in China – e addobbi già allestiti quando ancora le foglie sugli alberi non sono neppure ingiallite, complice un clima sempre più pazzo.
Ma cos’è mai questo Natale? Perché far finta di essere felici, da dove nasce il buonismo che trabocca sui social network e persino nei nostri vicini di casa o colleghi che, altrimenti, a stento salutano? Eh, ma è Natale… E cosa vuol dire? Ci siamo tutti completamente uniformati? Si fa così perché si deve? Può darsi.
Poi succede che arriva la provocatoria domanda di mio figlio adolescente: “Perché ti incanti sempre a guardare l’albero di Natale?”. Già, perché? Non ho risposto subito, forse perché preso alla sprovvista da quella domanda, apparentemente banale, ma sicuramente non fatta a caso.
Non so bene quanto è stato il tempo passato fino alla mia risposta. Probabilmente solo una manciata di secondi, ma in quello strettissimo lasso di tempo ho avuto modio di preparare una risposta almeno credibile. L’ho fatto “sprofondando” con i ricordi molto indietro negli anni e ho avuto come la sensazione che, così facendo, il tempo si sia fermato.
E in quegli istanti infiniti ho pensato che, avrei dovuto spiegargli cos’era il Natale, cosa è stato per noi (ma forse lo è ancora…), quando vivevamo in un mondo normale, nel quale l’autunno era veramente autunno e a dicembre faceva freddo. Quando noi bambini eravamo solo bambini e nessuno ci chiedeva d’essere diversi. Quando un pezzo di torrone era un premio ambito e non un dolce tra i tanti in dispensa. Quando la magia della festa che iniziava all’antivigilia contemplava anche l’andare a fare compere – esclusivamente spese alimentari – al mercato di piazza Commestibili (a chiazz’) alle 7 di mattina.
E lì, nel freddo e tra i bracieri improvvisati a scaldare ambulanti e avventori, in mezzo alle cassette di legno ricolme di frutta, verdura, pesce, formaggi, c’era un’atmosfera unica che faceva nascere dentro una gioia profonda, indescrivibile. E il rumore delle bilance del tempo (e’ valanze) manovrate “ad arte” dai commercianti con una velocità che lasciava tutto alla sola immaginazione… l’odore gradevole dei mandarini appena sbucciati, assaggiati per saggiarne la bontà, quello penetrante del baccalà disteso sui sacchi, quello piacevole del pesce fresco in bella mostra nelle ceste e sui banchi di marmo bianco. E voci, urla, risate, battute, e mani che si stringevano, le contrattazioni sul prezzo degne del miglior teatro comico…
Poi la vigilia, l’attesa interminabile, i riti culinari “siculo-campani” di casa mia contraddistinti dal puzzo di fritto, i ritocchi al presepe, lo spostamento dei Re Magi che ogni giorno di più, dovevano avvicinarsi alla capanna. E il cenone, la Messa di mezzanotte, la tombola con i parenti e gli amici. Natale era tutto, pur non avendo noi niente… Era ricchezza spirituale e di sentimenti, era una festa sentita e vissuta integralmente, dalla quale nessuno s’aspettava niente di materiale: né regali, né viaggi esotici. Solo calore umano, solidarietà, magari corroborate da zeppoline fritte preparate da espertissime mani di nonne, talmente buone da soppiantare ogni altra pietanza. Altro che consumismo sfrenato e pacchetti ricolmi di ipocrisia. Natale era (per chi ci credeva) il compleanno di Gesù e noi, semplicemente, eravamo felici di festeggiarlo.
Banale, scontato? Sicuramente. E’ la giostra della memoria, ed è facile cadere nella trappola dell’emotività, e poi nella retorica. Ma credo che il fare leva sui ricordi del mio passato remoto non sarebbe bastato a sorreggere una giustificazione credibile, una risposta valida.
Ho cercato qualcosa di più attuale, in questa estemporanea introspezione natalizia. E nella mente, allora, si sono affollate istantanee di vita vissuta molto crude e assolutamente poco romantiche. Una su tutte: il corpo di Aylan Kurdi, il bimbo siriano trovato morto sulla battigia di Bodrum, in Turchia, lo scorso settembre. Lui, innocente, scappava dalla guerra con la sua famiglia ed è annegato in un naufragio. La faccia immersa nella sabbia, lì, sulla stessa spiaggia dove d’estate migliaia di altri bimbi giocano, sognano il loro futuro da esploratori o pirati, costruiscono castelli e piste per automobiline. Oltre la sua religione, a giorni sarebbe stato “natale” anche per lui.
Ecco, m’e venuta così la risposta, la più banale e scontata che i potessi dare a quella domanda: “Perché mi fa rivivere le stesse emozioni di quando ero solo un bambino“.
In parte è vero! Io mi perdo nelle sue intermittenze, mai uguali, sempre molto suggestive, che mi riportano, appunto, all’albero che facevamo a casa, accanto all’enorme presepe. L’odore di neve finta, come si può dimenticare? Il rumore delle piccole scariche elettriche che le lampadine facevano accendendosi o spegnendosi, ed io ad ascoltare e a guardare in silenzio nella stanza con soltanto le luci dell’albero a rompere il buio. In parte.
Perché avrei dovuto dirgli, per completezza, che m’incanto e mi emoziono, perché quel bambino, che in fondo è ancora dentro di me, è diventato adulto. Ha avuto la possibilità di crescere e la fortuna di vivere e, appunto, oggi di poter ricordare. E m’incanto perché vedo in quelle luci proprio lui, mio figlio. E spero che anche lui possa avere la possibilità di ricordare, un giorno, questi momenti di festa, di Famiglia, di cose buone, di tradizioni e di compleanni altissimi da festeggiare, di zeppole da gustare a scottadito, di preghiere da fare a mezzanotte.
Perché Aylan e migliaia di bambini ovunque nel mondo di Natale o ricorrenze proprie della religione che professano, non potranno mai più festeggiarne. E non vedranno più primavere, né avranno compiti da fare o giochi da inventare. Tutto questo l’ho purtroppo visto in una lucina colorata che s’accende e si spegne ad intermittenza…
Lui ha concluso con un: “Rimettiti gli occhiali che hai già gli occhi lucidi e poi ti viene mal di testa, vecchietto“. Gli occhi lucidi – era vero! – ho rimesso gli occhiali, ma non è passato. Lui ha capito e mi ha sorriso. Spero tanto che un giorno si ricorderà (appunto) di quel momento con suo padre… un Natale di tanti anni fa.