Fa parte del pacchetto Jobs Act: si chiama Naspi, cioè Nuova assicurazione sociale per l’impiego, insomma il sussidio alla disoccupazione. Chi dovesse perdere involontariamente il proprio lavoro, dal 1° maggio 2015 potrà richiederlo. La Naspi sostituisce sia l’ASPI sia la mini-ASPI. Questo nuovo istituto è stato individuato, come il nuovo strumento universale di sostegno al reddito per i lavoratori dipendenti del settore privato, ad esclusione di quelli agricoli. Sono esclusi anche i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato della pubblica amministrazione.
Per richiedere la Naspi è necessario:
- possedere lo stato di disoccupato ai sensi del D.lgs. 181/2000. Sono comunque ammessi i lavoratori dimessi per giusta causa o che abbiano risolto consensualmente il proprio rapporto di lavoro durante la procedura di conciliazione prevista dall’art. 7 della Legge 604/1966;
- aver versato almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti;
- aver svolto almeno 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti il periodo di disoccupazione.
La durata del trattamento è pari alla metà delle effettive settimane di contribuzione del lavoratore, come già accadeva per la mini-ASPI. Per il 2015 e 2016 la durata massima della NASPI potrà essere di 24 mesi. Dal 2017, sarà di 78 settimane. Rispetto invece alla precedente ASPI è ininfluente il requisito anagrafico del richiedente.
Per il 2015, l’importo mensile della Naspi è pari al 75% della retribuzione di riferimento precedente percepita dal lavoratore, nei casi in cui questa non superi 1.195 euro. Per gli stipendi superiori è previsto un ulteriore 25%, calcolato sulla differenza tra la retribuzione del lavoratore e la parte eccedente i 1.195 euro. Dal quinto mese, il trattamento si riduce ogni mese progressivamente del 3%.
La Naspi può essere anche erogata in un’unica soluzione ai fini di avviare un’attività autonoma. La richiesta per riceverla, comunque, va presentata entro 68 giorni dall’inizio del periodo di disoccupazione. Conditio sine qua non per la fruizione del beneficio è il comportamento “proattivo” del beneficiario nel trovare una nuova occupazione. Il requisito della condizionalità prevede infatti un monitoraggio del soggetto durante il percorso di ricollocazione e della partecipazione alle iniziative proposte dal Servizio per l’Impiego.
Per quanto riguarda i numeri, però, ad oggi l’INPS è in evidente ritardo. Infatti, secondo le stime, sono state più di 510 mila le domande presentate e appena 211 mila i sussidi effettivamente erogati. Probabilmente i ritardi sono dovuti al fatto che gli uffici dell’INPS hanno dovuto adottare nuove procedure di calcolo e rispettare nuovi requisiti per l’erogazione dei sussidi, rispetto a quelli previsti in precedenza con i vecchi ammortizzatori sociali. Ma si spera di smaltire l’arretrato in tempi ragionevoli.
Importante sottolineare che, nel prendere in esame gli ultimi 4 anni lavorati, però, vengono esclusi i cosiddetti periodi neutri, cioè quelli trascorsi:
- in malattia o in convalescenza non pagata per infortunio sul lavoro;
- in cassa integrazione a zero ore;
- in permesso o in congedo per curare qualche parente disabile grave;
- in aspettativa sindacale.
A questi casi si aggiungono anche i periodi di lavoro all’estero, in paesi che non hanno stabilito delle convenzioni (previdenziali e contributive) con l’Italia. Per tutti i lavoratori che hanno trascorso questi periodi neutri, si allunga l’arco di tempo preso in considerazione per stabilire se hanno diritto o meno al sussidio. Il sussidio viene ovviamente revocato a chi trova un altro impiego o a chi rifiuta da un ufficio di collocamento un’offerta di lavoro o un corso di formazione, in una zona geografica non troppo distante da quella in cui il disoccupato abita. La sede del nuovo impiego, però, non deve trovarsi a oltre 50 chilometri dal luogo di residenza del disoccupato o deve essere comunque raggiungibile con i mezzi pubblici in meno di 80 minuti.