Continua la mattanza nel Mediterraneo, sempre più un mare di morte. E non bastassero quelle dovute ai “traghettamenti precari”, ad oggi sono sempre più numerose le notizie, provenienti anche da altri paesi europei, di rifugiati deceduti durante il viaggio, che avviene quasi sempre in assoluta clandestinità e in condizioni disumane. Con un giro di affari per le organizzazioni malavitose che è divenuto miliardario.
In Italia la situazione nei centri d’accoglienza è a dir poco difficile oltre che caotica. Per far fronte al numero crescente degli arrivi, il Ministero dell’Interno ha infatti risposto aumentando i posti di accoglienza che sono ad oggi circa novantaquattromila, ma purtroppo nella stragrande maggioranza sono tutti centri temporanei. La maggior parte dei rifugiati sbarcati nel nostro Paese è soltanto di transito. Infatti, la meta del loro viaggio è quasi sempre il nord Europa, dove contano di ricongiungersi a familiari e/o amici.
Ma sono comunque tantissimi anche quelli che, appena sbarcati, fanno richiesta d’asilo. Come funziona? Il richiedente presenta una domanda di protezione internazionale alla Questura o alla Polizia di frontiera. La prassi prevede che il Dipartimento delle Libertà Civili e Immigrazione, del Ministero dell’Interno, l’autorità competente responsabile per l’esame, dovrà esaminare la domanda.
Le domande di protezione internazionale vengono analizzate dalle Commissioni Territoriali per il riconoscimento appunto della “protezione internazionale”. Tali Commissioni sono composte da un funzionario della Prefettura, uno della Questura, un rappresentante dell’Ente locale e un membro dell’UNHCR, cioè l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati.
Le commissioni decidono in base a interviste individuali, in presenza di interpreti, se alla persona deve essere riconosciuta una forma di “protezione”. Nel corso dell’ultimo anno il numero delle Commissioni è stato aumentato fino a 40, proprio per velocizzare l’analisi delle domande. La domanda è: chi può beneficiare dell’asilo? Tutti i cittadini stranieri, a parte i cittadini comunitari, hanno il diritto di chiedere asilo in Italia. In quest’ottica appare strumentale la distinzione che molto spesso viene fatta tra “irregolari” e “richiedenti asilo”.
- Lo status di rifugiato, che protegge chi è costretto a lasciare il proprio paese perché perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, secondo la definizione stabilita dalla Convenzione di Ginevra.
- La protezione sussidiaria, introdotta dalla Normativa comunitaria, viene riconosciuta a chi rischia di subire un danno grave, come una condanna a morte, atti di tortura o trattamenti inumani o degradanti, minaccia alla vita come avviene in contesti di conflitto generalizzato, nel caso di ritorno nel paese di origine.
- La protezione umanitaria, che viene concessa quando si valuta su base individuale, che esistono gravi motivi di carattere umanitario per i quali il rimpatrio forzato potrebbe comportare serie conseguenze per la persona.
Sarà la Commissione Territoriale di competenza, sulla base delle storie raccontate dalle persone, della loro coerenza e delle risultanze di approfondimenti fatti sui paesi di origine, a decidere se la persona deve beneficiare di una di queste forme di protezione. Questa trafila purtroppo non è rapida. Nonostante l’aumento del numero delle Commissioni, i tempi di attesa sono di almeno 1 anno, rispetto ad una procedura che, secondo la Legge, dovrebbe durare 35 giorni!
Oltre le lungaggini burocratiche, l’Italia è uno dei paesi europei che hanno il tasso di protezione internazionale più alto. Lo scorso anno è stata riconosciuta una forma di protezione al 60% dei richiedenti asilo intervistati, a confronto del 45% della media europea. Per quanto riguarda l’accoglienza e soprattutto l’integrazione, sono molto difficili e disomogenee sul territorio nazionale. Probabilmente perché gli accolti diventano “concorrenti” alla ricerca di un posto di lavoro o di un alloggio in una situazione di carenza diffusa. Ma ciò che crea maggiore preoccupazione è sicuramente il fatto che molti di questi immigrati rimangono clandestini e vivono spesso in condizioni degradanti. E le organizzazioni criminali sono le prime a reclutarli, offrendo loro del lavoro illegale, dall’accattonaggio allo spaccio, i furti. In molte zone del Paese, purtroppo, la situazione creatasi è divenuta allarme sociale. Non bisogna chiaramente drammatizzare, ma è chiaro che il problema esiste e va affrontato e risolto, per evitare che si continui a generalizzare e a fomentare inutili e pericolose contrapposizioni.