Passeggiando nel torrido e tardo pomeriggio beneventano, succede che vado a fare visita alla Basilica della Madonna delle Grazie, sperando almeno in un segnale dall’alto. Niente, come ogni anno. Fuori, però, m’imbatto nell’amico di sempre, quello che quando incontro mi regala sempre un sorriso e trasmette sensazioni piacevoli. “Viso pulito” non solo materialmente. Osservandolo meglio, viso sudato, con segni evidenti di sporco, come quelli normalmente riscontrabili in chi sta compiendo un’intensa attività fisica e deve in qualche modo asciugare il sudore. Al collo una moderna fotocamera reflex, e dietro di lui scorgo altri volti a me noti. Amici e qualche conoscente. C’è un gazebo, qualche sedia, una scatola di cartone* fessurata sul tavolino da picnic. Ognuno di loro è circondato da persone di tutte le età, in gruppetti, e tra di loro confabulano. Non sono lì per “la festa”, è palese.
Realizzo, sono su Viale San Lorenzo all’imbocco di Via Ursus, lo stretto vicolo che conduce al complesso archeologico di età romana detto “dei Santi Quaranta” (cliccando sul link si apre un documento esplicativo sul complesso archeologico in cui vi sono anche foto e illustrazioni). Ho letto molto in questi giorni sul lavoro che stanno svolgendo questi amici che sono tutti volontari. Non cercano gloria né consensi elettorali. Sono lì perché hanno deciso che agire è molto meglio che parlare.
Hanno ripulito un’area verde cittadina che era diventata simile ad una pericolosa foresta, hanno raccolto e mandato in discarica qualche tonnellata di rifiuti ingombranti di ogni tipo e portato a nuova luce questi ruderi su cui è incisa la storia della Benevento di epoca romana e longobarda. Hanno ridato vita ad una zona cittadina abbandonata a se stessa e, dulcis in fundo, riaperto almeno al transito pedonale via Ursus, che collega Via Munanzio Planco e la Stazione Appia allo stesso Viale San Lorenzo.
Mi appassiono al racconto di Stefano, è uno dei volontari. Lo seguo e ascolto tutto quanto lui ha “imparato” sul sito archeologico e che ci spiega con grande passione. Viottolo d’accesso appena praticabile ma sicuro, in terra battuta; gradini “scavati” nel terrapieno e rivestiti con pezzi di legno ricavati dal taglio di arbusti presenti in loco. In pochi metri di dislivello rispetto alla strada e al piazzale sovrastante, si passa dalla modernità e dal frastuono della festa patronale, ad un luogo quasi magico, sospeso tra storia e suggestioni. E, da ciò che s’intuisce, questa è solo la punta dell’iceberg che affiora. Chissà sotto i nostri piedi quanto ancora c’è da scoprire.
Tra polvere e zanzare fastidiose, con mille difficoltà, questi “cittadini” hanno dimostrato che con la volontà di fare non c’è ostacolo burocratico o economico che tenga. Benevento è una città ricca di reperti antichissimi, ma si accontenta di mostrare soltanto quello che “emerge”. I tesori più grandi credo siano ancora tutti da scoprire. “I Santi Quaranta” e in linea d’aria c’è un altro importantissimo sito archeologico “abbandonato al proprio destino”, l’Anfiteatro romano (nella foto in basso), del quale nel furono rimessi in luce alcuni dei muri radiali che sostenevano la cavea e uno dei muri anulari.
Facendo dei calcoli “proporzionali” le sue dimensioni sono state stimate in 160 metri di lunghezza e 130 metri di larghezza, un colosso!
Soddisfatto e a dir poco entusiasta, sono andato via. E poco importa per qualche puntura di insetto e le gambe graffiate da qualche spina malefica. Ne è valsa la pena, davvero. Loro, i volontari, mi hanno detto “grazie” e così hanno fatto con tutti gli altri visitatori. Grazie? No, amici, grazie a voi. Avete dato una grande elezione di civiltà e organizzazione all’intera comunità beneventana. Io spero davvero che il vostro “sacrificio” e la fatica in qualche modo possa esservi ripagata. E quella *scatola di cartone poggiata sul tavolino nella speranza di raccogliere fondi utili alla causa, dovrà sparire ed essere sostituita da fondi pubblici, perché ciò che avete fatto voi è invece un compito della città intera e della sua amministrazione. Che prima dei progetti faraonici dovrebbe iniziare a pensare seriamente di scoprire e valorizzare ciò che è già nostro immenso patrimonio, non solo beneventano.