Mi sono preso molte ore, prima di scrivere qualcosa, rispetto alle dichiarazioni del presidente Oreste Vigorito nell’immediato post-gara di Latina. Ho riascoltato bene le parole del massimo dirigente, proferite a denti stretti nella sala stampa del “Francioni“, visibilmente e profondamente arrabbiato, certamente non (solo) per l’ennesimo risultato deludente dei suoi ragazzi ottenuto contro un’avversaria mediocre, senza nulla togliere ai pontini, ma per semplice verità.
Ribadisco un concetto: contestare è un diritto, fischiare sonoramente o mandare “vaffa” alla squadra (e ai tecnici) credo sia assolutamente legittimo. Ma offendere l’uomo, anche con parole pesanti, non c’entra nulla con il calcio. È solo maleducazione ed inciviltà e se questo è accaduto ancora (altrimenti l’arrabbiatura di Vigorito non avrebbe valida giustificazione considerando che lui è pienamente consapevole che la squadra, ad oggi, più di tanto non può dare…), se è stato offeso personalmente, io sento il dovere di chiedergli scusa, da cittadino prima ancora che da tifoso. E mi auguro che tutti i tifosi giallorossi dai cuori puri prendano le distanze da chi non trova di meglio che riversare i propri vomiti esistenziali sugli altri.
Però.. c’è una cosa che mi è rimasta impressa, rispetto alle dichiarazioni del presidente. Ed è il passaggio nel quale lui sottolinea (come è già accaduto nel recente passato) che continuando così (lo stato delle cose? La sempre più accesa contestazione? O cosa?) “il giocattolo potrebbe rompersi” (ipse dixit) … Eh no, no! Perchè il giocattolo, di fatto, si è già rotto. Visibilmente rotto. E non per i risultati della squadra in un’annata – la terza – che tende al balordo. Ma per una serie oramai lunga di circostanze che, appunto, hanno portato alla creazione di una netta spaccatura tra società/squadra con tutto l’ambiente, salvo i pochi soliti stoici, anche loro oramai in difficoltà… E questo giocattolo non l’hanno rotto i tifosi, o quella parte di stampa libera da vincoli che muove continuamente dubbi e perplessità rispetto alla gestione tecnica del Benevento Calcio. Quel giocattolo l’ha iniziato a rompere, probabilmente senza neppure volerlo, proprio chi lo aveva tra le mani, punto. Poi, è chiaro, a furia di tirarlo a sé, come nel gioco delle parti, il danno è diventato forse irreparabile.
Che sia chiaro: io credo che si possa decidere tranquillamente di “ripartire da zero“, con nuovi programmi, una nuova politica calcistica (azzeramento di quei contratti faraonici per la categoria, lancio dei giovani validi del vivaio, tetto agli ingaggi e una spending review a 360°) che sia più confacente alle reali potenzialità della città. Ridimensionarsi (nell’accezione migliore del termine) non è un fallimento, anzi, credo sia una dimostrazione di oculatezza e lungimiranza. Non c’è alcuna vergogna e credo che tutti i tifosi, ma anche la stampa “nemica” (sic!), messi al corrente per tempo e con una esplicazione esaustiva del nuovo progetto calcistico, avrebbero sicuramente accettato e sarebbero stati partecipi ad un nuovo corso. In fondo, nessuno mai ha mai chiesto la luna e, le ambizioni (parlo di serie B), credo siano legittime a Benevento come a Canicattì o ad Aosta, no? Si gioca, ovunque, per (provare a) vincere, non per pareggiare e tantomeno per perdere: è il gioco del calcio, ma spesso lo dimentichiamo!
Invece si è scelto di comunicare (nota dolente….) con – ma perchè? – l’oramai consueto dico/non dico, le mezze frasi, le dichiarazioni bellicose ed eclatanti, quasi sempre poi smentite o rimodulate, a seconda dell’andamento del campionato. Un giorno pronti per la scalata alla B, il giorno dopo già contenti di essere tra i primi cinque in classifica… Senza parlare, poi, di quanto è accaduto o accade nello spogliatoio con palesi ripercussioni sulle gare, e quindi sul campionato, che solo un orbo potrebbe non accorgersene… Dulcis in fundo, la conferenza stampa di presentazione del neo trainer Pazienza, con certe dichiarazioni (in primis sugli esiti del non-calcio mercato) rivelatasi per certi aspetti surreale, la goccia che ha fatto traboccare il vaso! E questa situazione, alla lunga, ha creato rabbia e frustrazione soprattutto nei tifosi, che oramai manifestano quotidianamente la loro giustificata delusione. Era nell’aria, inevitabile.
Siccome io credo che non esista nulla di irreparabile – se non in un caso, ahimè – allora dico: cosa vogliamo fare? Vogliamo distruggerlo completamente quel giocattolo, farlo a mille pezzi o, con pazienza (e intelligenza), provare a rimetterlo insieme, magari non bello come quando era “nuovo” ma sicuramente divertente e appassionante?
Cosa vuole fare la proprietà? Lo dica chiaramente, una volta per tutte, qualunque siano le intenzioni. C’è una TV molto importante a disposizione, basta andare lì e parlare, chiaramente, con il cuore in mano. Senza più giri di parole, senza forzati ed inutili “io sono io….“, ma esprimendosi in maniera schietta e diretta, così come tante volte è accaduto negli ultimi diciannove anni. Nessuno si offenderà, nessuno si risentirà, qualunque siano le intenzioni. Non c’è altra strada se non quella del dialogo, leale e corretto, tra le parti. La società non deve dimostrarci più nulla: credo che abbia già abbondantemente mostrato di quanto fosse capace e noi, a prescindere, gli saremo eternamente grati per tutto quanto abbiamo vissuto, in ambito calcistico e come riscatto morale per un’intera Provincia. Certe gioie calcistiche rimarranno scritte per sempre nella storia bella di questa comunità.
Credo sia arrivato il momento di fare tutti un passo indietro o, meglio, due avanti, per il bene della squadra e per una necessaria ritrovata armonia. Evitando di scadere nei personalismi (talvolta beceri) ed inutili quanto dannose contrapposizioni che non stanno facendo altro che sporcare quanto di bello vissuto INSIEME negli ultimi anni. Ma perchè, dico io, si è dovuti arrivare a tanto? Davvero non esisteva un’altra strada, qualunque sia il destino della nostra amata squadra?
Un giocattolo rotto può continuare a funzionare e a divertire. Bisogna solo capire chi vorrà ancora giocarci, e se avrà lo stesso necessario “entusiasmo da bambino” di quando l’ha preso la prima volta tra le mani, per la sua gioia e per tutti quelli che hanno potuto beneficiarne.