(di Francesco Cusano) – Le ultime vicende che hanno coinvolto il nostro Benevento hanno indotto le più disparate riflessioni ed esternazioni. Ritornare sull’argomento sarebbe, oltre che rischioso, probabilmente inutile e inefficace: tutto ciò che poteva essere detto e fatto è stato detto (dai giornalisti e da noi tifosi) e fatto (da chi di dovere).
Consentitemi, allora, di riavvolgere il film degli avvenimenti di questi ultimi giorni per porre alla vostra attenzione un piccolo e apparentemente insignificante episodio verificatosi lunedì sera 3 febbraio e sfuggito ai più, che giustamente gremivano gli spalti del Vigorito, contrariamente a me che, causa influenza, sono stato costretto a seguire le evoluzioni dei nostri prodi dal piccolo schermo, confortevolmente accolto dal divano di casa. Il “fattaccio” cui mi riferisco è accaduto nell’immediato pre-gara del match contro il Monopoli ed esattamente all’ingresso delle squadre in campo, allorquando il telecronista di Sky ha introdotto ai telespettatori i protagonisti della contesa: in maglia bianca con risvolti verdi gli ospiti pugliesi, “nella tradizionale casacca a strisce orizzontali gialle e rosse” i nostri eroi della pedata.
Superato l’impatto emotivo dell’inizio del match e incoraggiato dal fluire lento delle emozioni prodotte dallo spettacolo in campo (sic!), sono tornato più volte a riflettere su quella frase che fastidiosamente mi ronzava in mente. Di tradizione la Treccani fornisce la seguente definizione: “trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memorie, notizie, testimonianze, nonché di consuetudini, usi e costumi, modelli e norme”. Poco da discutere allora: la casacca gialla e rossa a strisce orizzontali indossata lunedì sera dal Benevento si può definire in molti modi tranne che tradizionale, poiché le occasioni in cui è stata adottata si contano sulle dita di una mano.
Ma allora qual è la divisa tradizionale della Strega? O meglio, ancora: esiste davvero una divisa tradizionale? Perché, è bene essere chiari da subito, i soli colori sociali (giallo e rosso, nel caso specifico) non identificano affatto da sé alcuna divisa tradizionale. La Juventus ha come propri colori il bianco e il nero, che sono proprio gli stessi colori del Cesena, ma la divisa tradizionale dei torinesi è a strisce verticali mentre quella dei romagnoli è bianca con risvolti neri: avete mai visto giocare la Vecchia Signora in maglia bianca e risvolti neri o, viceversa, il Cesena in maglia a strisce verticali? Per non parlare poi di maglie a strisce orizzontali, a pois, a scacchi o quant’altro, se si escludono le estemporanee creazioni riservate a seconde e terze maglie?
C’è però un altro particolare, oltre la costanza d’uso, che consente di definire tradizionale una divisa, ed è il motivo originale che ha determinato la scelta di quel dato abbinamento cromatico e che lega quella combinazione cromatica alla storia. Spesso un motivo tutt’altro che aulico o nobile quanto piuttosto futile od occasionale. La nazionale venezuelana, ad esempio, deve il tradizionale colore amaranto delle sue magliette e il suo nomignolo, “vinotinto” (vino rosso), semplicemente a un lavaggio inappropriato delle maglie originali tricolori giallo-rosso-blu, i colori della bandiera. Per restare in tema Juve, fu uno dei suoi soci, l’inglese Savage, che nel 1903 decise di sostituire le divise rosanero prese in prestito da un liceo torinese con le ben note divise, giudicate molto più eleganti e professionali, acquistate dagli inglesi del Notts County. Che da allora sono diventate le divise tradizionali della Juve. E quando la storia si fa insopportabilmente amara e dolorosa, allora sono i simboli tradizionali che vanno cancellati per cancellare dal cuore una sofferenza insopportabile, come nel caso del Brasile che, in conseguenza della tragica sconfitta con l’Uruguay al mondiale del ’50, il famoso Maracanaço, decise di bandire per sempre il tradizionale colore bianco delle maglie indossate fino a quella occasione.
È la storia che determina la tradizione, e storia e tradizione determinano l’identità di una collettività, anche calcistica, e la forza del legame della gente con la propria identità è determinata dalla capacità di legarsi alle proprie tradizioni e identificarsi con i propri simboli. Esistono città, in Italia, che possano vantare una storia così vasta, profonda e antica come quella di Benevento? Sicuramente sì, ma non sono tantissime. Anche in ambito calcistico. Eppure noi beneventani continuiamo a pasticciare tradizioni e simboli, sia in ambito calcistico che sociale, tanto da disorientare i telecronisti di Sky ma, peggio ancora, da indurci a dimenticare o rinnegare – noi stessi – la nostra storia e i nostri simboli e riferimenti.
In ambito calcistico, le fonti ci dicono che i colori delle divise del Benevento fra le due guerre furono i più svariati, in origine azzurro, poi spesso anche granata. E allora, da dove sono nati i cari vecchi colori del nostro cuore calcistico? La chiave di lettura ci viene offerta sorprendentemente dagli eterni rivali irpini. La pagina Wikipedia dell’Avellino Calcio cita infatti che, in occasione di una partita del 23 febbraio 1947, le due formazioni decisero di scendere in campo indossando divise del colore dei liquori rappresentativi delle due città rivali: gli avellinesi in quella che sarebbe da allora diventata la loro tradizionale maglia verde in riferimento all’Anthemis, il liquore alle erbe prodotto presso il Santuario di Montevergine, i beneventani in maglia gialla, come il liquore Strega. La fonte è di parte e quindi un pizzico di diffidenza è d’obbligo. E infatti documentazioni fotografiche dimostrano inequivocabilmente come il Benevento indossasse già antecedentemente a quella data una casacca giallo-rosso-cerchiata (o giallo-rosso-fasciata che dir si voglia); è logico pensare quindi che la decisione degli irpini di adottare il verde Anthemis non sia nata contestualmente quanto piuttosto in reazione alle casacche dei beneventani.
La storia non ci dice però perché il Benevento, appena rifondato dopo la guerra, scelga di indossare una inedita maglia gialla con banda orizzontale rossa; nota bene: non giallorossa a strisce verticali, a bande orizzontali, a quarti a pois a scacchi o a goccioloni! Il perché è facilmente intuibile, tuttavia, riflettendo su quanto riferito dagli amici irpini e su quanto questa maglia ricordi così tanto la bottiglia del più noto liquore cittadino che è notoriamente gialla con l’etichetta rossa, posta orizzontalmente a metà bottiglia. E se qualcuno avesse ancora dei dubbi al riguardo, basta considerare come, a quei tempi, non era possibile sponsorizzare le compagini sportive, neanche acquisendone direttamente la proprietà, se non in maniera occulta. Esempi ne furono addirittura il Grande Torino, che sfoggerà una “T” bianca simbolo non della città di Torino ma della azienda dolciaria Talmone, dal Mantova, sostenuto dall’industria petrolifera Ozo, dal Marzotto (industria tessile) di Valdagno, dal Simmenthal Monza, dal famosissimo Lanerossi Vicenza di Pablito Rossi. E, tutto sommato, questa versione dà ragione anche del nomignolo che da allora accompagna la nostra beneamata compagine, “la Strega”, e ancora del fatto che quella società fosse così solida economicamente e quella squadra così valida tecnicamente da vincere per due anni consecutivi il proprio girone di serie C.
Quella casacca giallo-cerchiata è rimasta, parentesi San Vito a parte, la divisa tradizionale del Benevento calcio per una trentina d’anni o poco meno, fra alti e bassi, scomparse e rinascite, entusiasmi e depressioni. Poi, come spesso accade nella città delle streghe, si è scatenata la gara a distruggere ciò che i nostri genitori e i nostri nonni avevano costruito con fatica, sudore e dignità; incluso la loro memoria. E, mentre gli amici-rivali del Partenio acclamano i loro idoli che dal 1947 indossano ancora la tradizionale maglia verde e si preparano a festeggiarne l’anniversario, noi al Vigorito possiamo di anno in anno ammirare le tradizionali casacche giallorosse a strisce verticali, a bande orizzontali, a quarti, a pois, a scacchi, a goccioloni!
Sgomberiamo il campo con chiarezza dalla tentazione di addossare all’attuale dirigenza anche la sia pur minima responsabilità nella faccenda. Non è certo da non beneventani, istruiti ed illuminati quanto si vuole, che ci si deve aspettare il rispetto delle nostre tradizioni se noi stessi abbiamo difficoltà a riconoscerle, proporle e mantenerle.
Magari invece è proprio da loro che si può sperare nel ripristino della nostra storia, dei nostri valori, della nostra stessa identità. In fondo in fondo, proprio fra qualche mese la nostra divisa tradizionale compirà 80 anni…
Che ne pensa, Presidente?
In basso a sx: una formazione del Benevento esordiente e vittorioso nel girone D del campionato di serie C 1945/46. Da: Nicola Russo, “Il Benevento e la sua storia, 1930-1960”, supplemento al n.9 di Sannio Sport del 4-5 maggio 1991.
In basso a dx: il Benevento entra in campo nella vittoriosa partita contro la Battipagliese, 14° giornata del Campionato di serie D 1971-72. Da: Cuore Giallorosso Amarcord www.facebook.com/orypelle/ consultato il 10/02/2025.