
Basilio Petruzza
Basilio Petruzza, scrittore siciliano emergente, pochi giorni fa ha pubblicato il suo nuovo romanzo, “Figli amati male”, edito da Arbor Libri. Il libro racconta la storia intensa e potente di due giovani, Raffaele e Monica, che si incontrano e, dapprima insieme e poi ognuno per sé, cercano di risolvere la loro storia di figli amati male.
Basilio, partiamo da te. Che figlio sei stato e che figlio sei oggi?
“Sono stato un figlio attento, maniacalmente attento, a tal punto da subire gli umori dei miei genitori. A tal punto da non saper più scindere i miei dai loro. A tal punto da non sapervi più prescindere. Sono stato solo figlio per lungo tempo, ho vissuto la mia condizione come un obbligo, e inevitabilmente ne ho sofferto, perché non sapevo diventare altro, non sapevo diventare me. Non ci riuscivo, nonostante ci provassi. Oggi sono un figlio consapevole, adulto a buon diritto, perché sono stato adultizzato troppo presto. Oggi conosco la mia storia, l’ho attraversata tutta, ho perdonato e mi sono riappropriato di me: adesso sono “anche” figlio, non più “solo” figlio. Ora sono in pace, ma non è stato sempre così.”
Com’è nato il tuo romanzo Figli amati male?
“Da un’esigenza, come mi succede sempre. Dovevo raccontare questa storia, che è fatta di tante storie, di tante voci. Ne avevo bisogno, sentivo di dovermi liberare da qualcosa che era in me da troppo tempo. Parlo della mia “condizione” di figlio, delle mie paure, della rabbia, che era tanta, radicata, profonda. Era dappertutto e si prendeva ogni cosa di me: le mie giornate, i miei momenti felici, l’allegria. Dovevo estirparla, ma la rabbia se ne va soltanto guarendo, ma si guarisce solo curandosi. Così ho fatto un percorso di psicoterapia, che è stato lungo, a volte sfiancante, ma necessario: mi ha permesso di conoscermi, di mettermi in pari con la vita, ma –
soprattutto – di scoprire che si può essere interi per davvero, nonostante si sia stati a pezzi per tutta la vita.”
Cosa vorresti che restasse ai tuoi lettori, dopo la lettura di Figli amati male?
“Proprio questo: che si può essere interi per davvero, nonostante si sia stati a pezzi. Quando dico “a pezzi”, non mi riferisco a uno stato d’animo, ma a una condizione: quella di essere frammentati, di appartenere a tutti e mai a sé. Io appartenevo a mia madre, a mio padre, alle dinamiche della nostra vita, solo poi sono diventato tutto mio. Solo dopo, con la terapia, sono stato tutto per me: intero, nel senso di ricostruito, guarito, felice. Ecco, io oggi, dopo aver fatto tutto il tunnel, mi sono portato alla luce e sono consapevolmente felice. Aggiustato, orgoglioso dei pezzi che fanno me, fiero.”
A te cosa è rimasto dopo aver scritto Figli amati male?
“La salvezza. Oggi sono salvo dalla rabbia. Oggi sono intero e, quindi, libero. Di essere quel che sono, di fare quello che sono, di andare dove voglio. Ho delle radici, certamente, ma non sono solo e soltanto quelle radici: sono il posto in cui mi porto, i sogni che faccio e di cui non ho più paura. Sono questo libro, in cui racconto di me senza che sia un biografia: è un romanzo, ma mi ha permesso di parlare di disturbi alimentari, ad esempio, di quanto difficile e doloroso sia soffrire di alcune malattie spesso invisibili ma non per questo meno pericolose. Ecco, in “Figli amati male” ho messo tutto, ma proprio tutto di me, senza mai esserne il protagonista: è la storia di
Rafael e Monica, ma anche dei loro genitori e di tutte le persone che gravitano attorno alle loro vite. È una storia fatta di tanti personaggi, che amano e che sono amati, e che sono tutti irrimediabilmente figli.”
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