di Marcello Mulè
Vado (come sempre) controcorrente: quello che appare solo come un punticino striminzito, meno corroborante di un brodino caldo (per la squadra e per i tifosi), è invece per me un risultato d’oro. Una sorta d’investimento per il futuro prossimo calcistico di noi giallorossi, senza alcuna ironia. Perché c’è davvero poco da ironizzare.
Già, perché il sunto della prestazione del Benevento contro l’Ascoli di Bucchi, è tutto nelle espressioni di Fabio Cannavaro, in piedi davanti alla sua panchina per tutta la durata della gara. Sin dall’inizio ha urlato, gesticolato, ha provato in tutti i modi di tenere i suoi sulla corda, a farli restare “in partita”. Ma, ad un certo punto, s’è dovuto arrendere all’evidenza.
Inquadrato dalle telecamere di Sky che spesso hanno indugiato sui primi piani dello scugnizzo partenopeo, non c’è stato bisogno di un esperto di fisiognomica per rendersi conto che, oltre la sua volontà, in quella partita c’era poco altro da fare: la sua (da poco) squadra, quella vista in campo contro l’Ascoli era così, null’altro. E nessuno, neppure un pluricampione come lui, avrebbe potuto invertire o modificare l’andamento della gara.
Chiaro ed evidente come il problema principale sia nella testa dei calciatori giallorossi. Perché, oltre gli errori e le topiche di ognuno degli undici (o quasi), non è possibile credere che la squadra sia messa così male anche (e direi soprattutto) fisicamente. Blocco psicologico? Paura? Non saprei. Ma la maggior parte di quegli atleti ha calcato anche palcoscenici molto più importanti della serie B. E non è comprensibile qualsiasi forma di “paura”, dopo solo 7 giornate di campionato, con 31 gare ancora da giocare e 93 punti in palio. E allora, cosa accade?
Sicuramente, di prestazioni esaltanti non ne abbiamo viste. Dopo 7 giornate disputate, per il Benevento 2 buone vittorie (Frosinone e Venezia), 2 pareggi (Genoa e Ascoli) e 3 sconfitte – 2 casalinghe – (Cosenza, Cagliari e Brescia). 7 reti fatte e 11 (1,57 a gara: troppe?) subite. Ma, oltre il ruolino di marcia attuale (assolutamente invertibile) da squadra di centro/bassa classifica, ciò che è apparso sempre evidente, è stata sempre la mancanza (pressoché totale) di gioco, la mancanza di un’identità precisa tecnico/tattica. Mancanza di aggressività dovuta principalmente alle gambe molli, con un attacco asfittico e un centrocampo sempre in affanno, sempre “secondo” nel recupero palla e farraginoso nella costruzione. E tante, troppe toppe le ha dovute mettere Paleari, per fortuna, direi.
Possibile? I dubbi sono tanti soprattutto scorrendo la carriera dei calciatori in rosa. Esclusi i più giovani e qualche “scommessa”, ci sono tanti atleti di assoluta ed indiscutibile qualità, oltre che d’esperienza. Quindi? La preparazione sbagliata? Una squadra non bene assortita nei ruoli? I dettami tattici (?) professati da Fabio Caserta che hanno minato le certezze di qualcuno? O, forse, un po’ di tutto questo?
Questa squadra non è certo da promozione diretta, almeno, per quanto visto fin ora sin dalle prime amichevoli. Ma, in tutta serenità, non può essere neppure quel nugolo di ragazzi imbarazzanti ed imbarazzati, che hanno sudato le proverbiali sette camice per non soccombere con l’Ascoli. Non credo affatto che il Benevento, così come è allestito, sia una squadra che possa barcollare così sull’orlo del baratro, direi pericolosamente. Perché, se vogliamo essere coerenti dobbiamo riflettere e guardare al nostro futuro con razionalità, altrimenti rischiamo davvero l’irreparabile.
Fabio Cannavaro ha potuto finalmente vedere e tastare con mano ciò che i suoi ragazzi sono in grado di fare (?), in un test importante. L’esperienza e la sapienza calcistica non gli mancano, ma lui non ha di certo la bacchetta magica e, tra l’altro, la dea bendata gli ha anche voltato le spalle, considerando gli ultimi due infortuni. E nei prossimi impegni la squadra purtroppo sarà in piena emergenza.
Ma non dobbiamo disperare. Non possiamo. La rosa è comunque ampia, inutile fasciarsi la testa prima: quella, piuttosto, dovranno ritrovarla Letizia e compagni. Ricordarsi chi sono, e cosa sono chiamati a fare, già dalla prossima a Bolzano, contro il Südtirol. Undici contro undici, ma occorre voglia, personalità, predisposizione al sacrificio tanta garra, e Cannavaro dovrà realmente mandare in campo chi sta meglio, oltre i nomi o le medaglie del passato, senza badare al curriculum. Occorre ritrovare (o rinnovare) le energie mentali e soprattutto quelle fisiche, perché la B è un campionato difficile e performante e non basta il proprio nome per vincere: c’è bisogno di sudore, sacrificio, impegno totale. Poi, a dicembre o forse prima attingendo agli svincolati, la Società sicuramente provvederà ad implementare il parco giocatori, facendo innesti mirati e funzionali atti a colmare qualche lacuna evidente o a sopperire agli infortuni.
Noi, tutti, dobbiamo stringerci ancora di più accanto alla squadra. Nessuno ha gradito lo spettacolo visto contro l’Ascoli. E neppure quello delle gare precedenti. Ma bisogna incitarli, sospingerli e cercare di trasmettere quel briciolo di forza (e soprattutto coraggio) in più che, forse, a qualcuno manca. I fischi sono deleteri, soprattutto quando iniziano (obiettivamente sacrosanti, sia chiaro) a piovere sul campo già nel primo tempo. Sono sempre essere umani, per quanto professionisti e navigati. Al termine della gara, ma solo allora, si applaude o si fischia, credo sia un pieno diritto dei tifosi.
I calciatori sono consapevoli del momento. Dobbiamo esserlo pienamente anche noi, facendo tutti un passo in avanti e superando l’atteggiamento da tifosi snob. Torniamo tutti con i piedi per terra e facciamo quadrato. Occorre ritrovare unità d’intenti, soprattutto in questo periodo di evidente difficoltà. Grossa, più che evidente.
Uniti si vince, e solo così. Perché, se uniti siamo andati due volte in A vuol dire che solo così funziona, no? E funzionerà anche stavolta. Insieme: squadra, società, tifosi, stampa. Uniti.