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I carabinieri di Palermo hanno sventato un omicidio di mafia smantellando il clan di Bagheria, da sempre roccaforte di Cosa Nostra. Un uomo, nonostante gli “avvertimenti”, aveva continuato a sfidare i vertici mafiosi. Nel corso dell’operazione Persefone sono stati fermati 8 indagati, accusati a vario titolo di associazione mafiosa e finalizzata al traffico di stupefacenti, estorsione e lesioni aggravate.
Le indagini dei carabinieri avrebbero accertato il passaggio del comando della famiglia di Bagheria da Onofrio Catalano (detto “Gino”) a Massimiliano Ficano, ritenuto più autorevole, e che aveva l’appoggio e il forte legame con il capomafia ergastolano Onofrio Morreale. L’investitura sarebbe avvenuta con il placet dell’allora capo mandamento Francesco Colletti, arrestato nell’operazione Cupola 2.0 e ora collaboratore di giustizia. Ficano, che si vantava della sua tradizione familiare, aveva scontato una condanna definitiva per associazione mafiosa e, approfittando del vuoto di potere, aveva preso il comando anche con metodi violenti.
L’autorità del boss di Bagheria Massimiliano Ficano sarebbe stata messa in discussione da Fabio Tripoli, secondo le indagini dei carabinieri. Tripoli, apparentemente estraneo al contesto mafioso, ubriaco e spesso intemperante, si era permesso di sfidare pubblicamente il capo mafia. La reazione contro l’affronto non era tardata. Ficano avrebbe incaricato alcuni affiliati di picchiare Tripoli. Un violento pestaggio che aveva provocato alla vittima un trauma cranico e la frattura della mano.
Nonostante l’aggressione Tripoli avrebbe tuttavia continuato a sfidare il capo mafia armandosi con una accetta e dicendo in giro di essere intenzionato a dare fuoco a un locale inaugurato dallo stesso Ficano. Un affronto che il boss decise di lavare con il sangue. Per cercare di costruirsi un alibi, dopo aver dato l’ordine di uccidere il “ribelle”, il boss si era allontanato da Bagheria, anche per prepararsi alla fuga visto il pericolo di essere arrestato.