Le tre sberle prese dal Cagliari a domicilio, nella gara del “dentro o fuori”, sono state il dulcis in fundo di un’annata disgraziata e da cancellare assolutamente, comunque vada a finire (conservo sempre un briciolo d’ottimismo…).
Ciò che ricorderemo per sempre, sarà il “j’accuse”, solo apparentemente estemporaneo, del Presidente Oreste Vigorito ai microfoni di Sky. Un’accusa ben formulata, pur se colorata dall’adrenalina. E, nello sviluppo successivo della varie trasmissioni, a dir poco imbarazzante e faziosa la gestione degli argomenti e dei commenti da parte alcuni suoi opinionisti, gente pagata con i soldi degli abbonati di tutt’Italia, Benevento compresa, ma che continuano a comportarsi e a disquisire come se fossero (inutilmente) difensori d’ufficio di qualche squadra in particolare, chissà, probabilmente negli interessi di qualche volto noto oggi nascosto nell’ombra… Cui prodest, “Beppe?” Alla faccia dell’obiettività e della pluralità!
Un’arrabbiatura che resterà nella storia, anzi, che spero faccia la storia di questo calcio sempre più malato. Quanto accaduto al Ciro Vigorito con Doveri e Mazzoleni fa seguito all’arbitraggio a dir poco discutibile del recente Milan – Benevento, quando Bennacer fu salvato da un cartellino rosso (con opportuna sostituzione nell’intervallo) strameritato e non estratto per reiterati falli a centrocampo. Il Cagliari ha adottato il fallo sistematico (Lapadula picchiato per 97 minuti!) e il primo giallo sacrosanto, dopo pochi minuti di gara, l’ha preso Schiattarella. Pavoletti e Deiola hanno fatto ciò che volevano pur se ammoniti, per non parlare di Nainggolan e Godin. Poi, il calcio di rigore su Nicolas Viola, concesso e revocato… da Procura della Repubblica, altro che (in)giustizia sportiva.
Dispiace aver visto Oreste Vigorito così: lo conosciamo bene, un uomo solido e straordinariamente passionale, ma sempre corretto, rispettoso, fin troppo garbato e paziente anche di fronte alle tante ingiustizie subite negli anni. E noi gli saremo per sempre grati per tutto quanto fatto fin ora, e anche solidali. Il suo consueto aplomb e la sua arguta ironia spazzati via da una giustificata (e forse troppe volte soffocata) rabbia verso un sistema (nella peggiore accezione possibile) che ha di certo contribuito a vanificare sforzi economici, lavoro, sacrifici e serietà di una piccola ma solida società, che ha sempre cercato di onorare al meglio il proprio ruolo nella massima categoria, conquistata con assoluto merito. Ma, tutto quanto accaduto, per quanto possa far male e creare giustificata frustrazione, non deve spostare l’attenzione sugli errori purtroppo commessi dal suo entourage.
Il Benevento avrebbe potuto provare concretamente a salvarsi, considerati i tanti punti raccolti nel girone d’andata. Ma la rosa andava indiscutibilmente rinforzata, soprattutto in ruoli chiave dove mancavano i ricambi necessari, considerando le trentotto gare da disputare. La squadra, nonostante i risultati più che lusinghieri, mostrava chiaramente grosse lacune e poca qualità. Non si poteva sempre far leva sull’entusiasmo, sulla sorpresa o aspettando la giocata mirabolante del singolo. Poi, gli acquisti primari, cioè quei calciatori che avrebbero dovuto fare la differenza, si sono rivelati autentici flop. Calciatori rotti, o già stracotti, improponibili per una squadra che deve “scannarsi” (Simonelli docet) ogni gara. Iago Falque non pervenuto, se non ad appesantire il monte ingaggi, e poi Glik, Dabo, Ionita, Caprari, sempre una tacca al di sotto della sufficienza, salvo rare eccezioni. Ho sempre avuto l’impressione che timbrassero il cartellino, senza aver mai sposato la causa. Calciatori che nulla o quasi hanno aggiunto a quanto di buono invece hanno fatto, pur se obiettivamente non sempre all’altezza, i vari Improta, Schiattarella, Caldirola, Viola, Tuia e qualche altro della vecchia guardia. Ragazzi che forse difettano in qualità ma che, almeno, ci hanno sempre messo il cuore.
Una campagna acquisti non proprio indovinata (per essere garbato) dal direttore sportivo Foggia e un clamoroso nulla di fatto nella finestra invernale del calciomercato, con i soli arrivi di Depaoli (ma Pastina, alla fine, non era meglio?) e Gaich. Quando, invece, Pippo Inzaghi aveva reiteratamente chiesto alla società un intervento deciso per puntellare adeguatamente la squadra. Non promesse o ragazzi in prospettiva (c’è la Primavera per questo, o no?) ma calciatori pronti, che apportassero qualità ed esperienza. La colpa maggiore, a mio avviso, ce l’ha proprio il tecnico piacentino. Avrebbe dovuto puntare i piedi e, nel caso, dimettersi. Invece, ha accettato di andare avanti così. Colpevole, con Foggia, ed imperdonabile. Un suo gesto clamoroso avrebbe avuto, forse, un effetto benefico, chissà. Come prevedibile, la spinta dell’entusiasmo è andata ad esaurirsi. Le lacune hanno messo a nudo la fragilità del Benevento e probabilmente l’inadeguatezza di alcuni suoi calciatori e il girone di ritorno s’è trasformato in un vero calvario, fatto di sonore sconfitte, pareggi striminziti e tante (forse troppe, considerata la situazione) inutili recriminazioni. Resterà nella storia solo la vittoria in casa Juve. Un lampo nel buio, qualcosa da ricordare e da tramandare, ma che lascia ancora di più l’amaro in bocca.
Una scelta assolutamente rischiosa quella di andare avanti così: una scommessa sulla sorte che aveva le stesse probabilità di vincita di un gratta e vinci milionario… e quindi calcisticamente perdente in partenza. Una retrocessione inconsapevolmente (spero) indotta dalle scelte, pur se sembra una follia il solo pensarlo, considerati gli interessi economici in ballo. Eppure, nei fatti, sembra sia andata così. L’obiettivo primario era quello di salvaguardare il bilancio? Benissimo, lo condivido appieno. Non possiamo certo permetterci debiti eccessivi e spese folli. Siamo una piccola realtà, la crisi economica globale è spaventosa, sarebbe stata una vera follia indebitarsi in maniera scriteriata. E allora bastava comunicarlo, senza vergogna o reticenze. Credo che tutti avrebbero condiviso e appoggiato una gestione light, proprio in virtù della sopravvivenza calcistica. Bastava dirlo, senza se e senza ma.
Questo calcio era ed è malato, in maniera cronica, già lo sapevamo. Lo sanno tutti. Ma le colpe è inutile cercarle a Bergamo, a Roma o a Cagliari. Le colpe, il 99% di esse, sono più vicine di quanto vogliamo invece pensare. Se di colpe si tratta, sia chiaro. Io invece credo che si tratti di scelte, solo di scelte, che ovviamente possono premiare o penalizzare. E noi siamo stati, purtroppo, penalizzati. Oltremodo probabilmente, ma smettiamo i panni delle vittime. Per provare a salvarsi bisognava attrezzarsi per vincere qualche partita in più, tutto qui. Ci voleva soltanto (eh!) una squadra in grado di farlo. Il resto è inutile e velenosa (per noi) polemica.