Analizzando i campioni di sangue di circa duecento pazienti contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2, alcuni da oltre sei mesi, un team di ricerca americano guidato da virologi del La Jolla Institute for Immunology ha determinato che la protezione immunitaria prodotta dall’infezione potrebbe durare a lungo, per diversi anni.
La durata dell’immunità determinata dall’infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, chiamata COVID-19, è una delle informazioni cruciali che gli scienziati ancora non conoscono. La storia naturale della malattia è infatti ancora troppo breve e non ci sono dati a sufficienza, tuttavia diversi studi dedicati alla conta degli anticorpi hanno suggerito che lo “scudo” immunitario, dopo essere stati esposti al patogeno, potrebbe durare soltanto alcuni mesi. Altre indagini più ottimistiche ritengono invece che la protezione possa essere sensibilmente superiore. Una nuova ricerca non ancora sottoposta a revisione paritaria, suggerisce addirittura che l’immunità possa durare anni, o addirittura decenni, perlomeno contro la forma grave dell’infezione. Si tratta di una notizia entusiasmanete, che qualora venisse confermata, grazie alla campagna vaccinale “a tappeto” attesa per il prossimo anno, potrebbe garantire una eradicazione più rapida del coronavirus (sebbene alcuni esperti ritengano che il virus diventi stabile ed endemico).
A determinare che l’infezione provocata dal patogeno possa innescare una protezione immunitaria a lungo termine è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati del La Jolla Institute for Immunology, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell’Università della California di San Diego e della Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York. Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Jennifer M. Dan, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i biomarcatori della memoria immunitaria in 185 pazienti tra i 19 e gli 81 anni infettati dal coronavirus SARS-CoV-2. Fra essi in 41 erano stati infettati 6 mesi prima. Dall’analisi dei campioni di sangue è emerso che gli anticorpi neutralizzanti (IgG), quelli che si sviluppano più avanti dopo l’infezione, sono risultati particolarmente stabili per la proteina S o Spike, la glicoproteina che costella la superficie del “guscio esterno” del patogeno e che viene utilizzata per entrare nelle cellule umane, avviare la replicazione e la conseguente infezione. Non a caso è il bersaglio primario dei vaccini. Le cellule B o linfociti B, legate all’immunità umorale, sono risultate più abbondanti a sei mesi dall’infezione che a un mese (sempre rivolte contro la proteina S), mentre altre cellule immunitarie chiamate T CD4 + e cellule T CD8 + (i linfociti T) hanno mostrato una riduzione naturale, più rapida, con una emivita di 3-5 mesi. Nonostante quest’ultimo calo, le altre risposte sono risultate robuste, e Dan e colleghi ritengono che l’immunità possa essere garantita per anni.