by Lella Preziosi
E’ andato in scena con successo, presso il Mulino Pacifico di Benevento, il 18 e 19 settembre, lo spettacolo “D-19”, tratto dal “Decameron” di Giovanni Boccaccio. Il saggio di “TeatroStudio”, corso di recitazione promosso dalla Solot Compagnia Stabile di Benevento, per i giovani dai 16 ai 26 anni, avrebbe dovuto debuttare nel mese di giugno, ma gli eventi che tutti conosciamo non hanno permesso la realizzazione dell’evento.
Durante la prova generale, abbiamo incontrato i ragazzi e fatto due chiacchiere con il regista Michelangelo Fetto.
Una leggera pioggia copre il giardino del Mulino Pacifico, dove si affaccia la ristrutturata sala teatrale della storica struttura beneventana. Si odono all’interno giovani voci felici e accorate, entrando nell’androne ci si scontra piacevolmente con attori in erba al trucco e parrucco, attenti alle regole anti Covid, quasi pronti per la prova generale dello spettacolo di fine anno, slittato per la pandemia da giugno a settembre.
Diretti da Michelangelo Fetto, a calcare la scena: Mario Canfora, Manuela Grimieri De Ioanni, Nicola Orlacchio, Alessandra Napoletano, Silvia Parrella, Giuseppe Plescia, Glauco Rampone, Emanuela Rapuano, Lucrezia Sassano.
“I ragazzi hanno voluto preparare il loro saggio, sacrificando parte del loro tempo libero e gli ultimi giorni estivi.” Ci racconta Fetto. “Ci siamo incontrati tutti i giorni per ripetere, studiare e imparare il copione. Ho scelto il Decameron perché ci sono numerose affinità con il periodo storico che stiamo vivendo.” Continua il regista. “Per Boccaccio la peste a Firenze fu momento doloroso e drammatico. Abbiamo scelto quattro novelle per ritrovare il gusto del racconto, la sua freschezza, l’attualità che sta, soprattutto, nella ricerca del contatto umano. Durante la quarantena, e comunque sempre, i ragazzi parlano attraverso i telefonini, computer. Vederli, invece, narrare storie è stato emozionante.”
Il giardino di Boccaccio ritrova nella penombra del teatro del Mulino, dove la prova generale ha avuto inizio, la sua collocazione temporale. I giovani enunciano vicende per ritrovare una momentanea felicità. Il tempo cristallizza l’essenza del testo, trasportandolo tra passato e presente in un viaggio fatto di paure, malattie, amori, cattiverie, desideri, spensieratezze. La scena si realizza in un gesto, si colora degli abiti fantasiosi indossati sulla scena dai protagonisti, che si alternano in un semicerchio di voci, nei racconti di un male incurabile, di una vita spezzata, di avventure immaginarie. Quanto simili possano essere i sentimenti e quanto reali le preoccupazioni sociali vissute, anche se in tempi diversi ma in età giovanile, riflette la vera essenza dell’opera teatrale immortale. Il per sempre diventa più che mai realistico e ci consegna alla storia, in un ripetersi di vicissitudini politiche culturali, quanto mai critiche e insoddisfacenti.
I ragazzi, dunque, hanno bisogno di teatro! “Lavorare con i giovani e anche con i meno giovani, facendo laboratorio, per spargere il seme del teatro, al di fuori di ogni metafora, per noi è stato sempre l’aspetto più confortante nel lavoro, altrimenti saremmo andati via da questa città.” Sottolinea Michelangelo Fetto. “Una città matrigna che dimentica tutto ciò che hai realizzato in passato alla velocità della luce. I ragazzi ti ripagano di tutto questo. Il loro affetto, la dedizione, la disciplina teatrale, i rapporti umani che si creano e gli allievi che riescono a fare questo lavoro, sono la soddisfazione più grande.”
Ad maiora semper!
Lella Preziosi